mercoledì 8 gennaio 2014

Sfaccettature di verità.

Leggiamo da qualche giorno commenti insopportabili quanto entusiastici sull’andamento dello spread italiano e la cosa preoccupante e che questi provengono, generalmente, dal Governo.

In effetti, sembra che il bel paese abbia risolto tutti i suoi problemi, sono state trovate risorse anche per la crescita (lavoro e imprese), le casse dello Stato hanno un po’ di respiro con il rendimento del decennale al di sotto del 4%, il Governo ha lavorato molto bene ed il mercato lo premia, lo spread a 200 bps non accadeva dal 2011...

Questa, in estrema sintesi, è quanto emerge dai giornali.

Io, invece, la vedo cosi.

Il calo dello spread non è assolutamente dovuto all’ottimo lavoro del Governo, ma ad una lunga serie di fatti che non hanno niente a che vedere. Un esempio significativo e attuale: L’andamento del rendimento del decennale tedesco che è passato dai primi di maggio 2013 ai giorni nostri dall’1.15% al 2% circa, mentre nello stesso arco temporale il rendimento del decennale italiano è rimasto sostanzialmente invariato dal 3.75% all’attuale 3.80% circa. Quindi il 3.80% di oggi non è come il 3.80% di maggio 2013. Non possiamo prendere in considerazione soltanto lo spread.

In effetti, in questa sede volevo attirare la vostra attenzione su altri aspetti fondamentali.

Il Governo prende in considerazione l’anno 2011 in quanto lo spread si è riportato al di sotto di 200 basis points interessanti proprio due anni e mezzo fa. Il grafico dello spread in alto evidenzia il livello di 200 bps, mentre la parte inferiore mostra il rendimento del decennale italiano al quale è stato tolto il valore dell’inflazione (ora +0.70%). Emerge immediatamente che il debito pubblico italiano sia molto più caro ora con il 3.34% circa rispetto al 2.17% di giugno 2011. E’ uscito proprio ieri il Cpi stimato nella zona euro pari a dicembre allo 0.80% in diminuzione dal precedente 0.90%.


Il rialzo dell’indice azionario italiano Ftsemib non è eventualmente imputabile al buon operato del Governo in quanto dovuto in gran parte all’enorme liquidità presente sui mercati grazie alle operazioni delle varie Banche centrali e, di recente, con il tapering Usa che favorisce una vera e propria fuga dai paesi emergenti per l’area euro. Italia inclusa. Piuttosto, ricordiamoci della continua diminuzione dei prestiti alle imprese (-5.90% a novembre) per non volere parlare anche del credito alle imprese per citarne solo uno, del -1.80% del Pil italiano a settembre rispetto al -0.40% della zona euro, del 12.50% del tasso di disoccupazione (il prossimo dato preliminare di novembre esce oggi), del 127% del rapporto tra debito pubblico e Pil, dell’improbabile -3% del rapporto deficit/Pil, dell’instabilità politica, del continuo aumento delle tasse. Sono anni che dico che il paese è fallito. Ora, la ciliegina sulla torta. Ho già scritto quello che pensavo delle agenzie di rating, ma visto che ci sono. Per Moody’s il debito pubblico del bel paese è un Baa2 come il Kazakistan ed il Perù. Per Fitch l’Italia merita un BBB+ come la Tailandia ed il Messico. Per S&P, il rating italiano è un BBB come la Colombia ed il Bahrein. Per l’Italia si usa comunemente, ed io in primis, la locuzione “bel paese”, ma non è certamente per la sua classe politica o per l’andamento dell’economia. Grazie lo stesso Dante.

Basta con gli autoproclami. Se uno ha lavorato bene non se lo deve dire da solo, ma deve attendere il feedback degli altri. Utilizzo appositamente da anni l’appellativo autoironico “bravo analista” perché qualora lo fossi, e non è detto, non me lo posso dire da solo, e come me, chiunque altro. Che senso avrebbe? Che valore avrebbe? Solo dal confronto si può osservare il proprio valore, non specchiandosi.

Pertanto, ribadisco, da “bravo analista”, se vogliamo dire che è tutto apposto perché lo spread è a 200 bps, va bene… ma ricordatevi, lo dicono loro.

Cordialmente
Giovanni Maiani