Lo
scorso 30 settembre avevo pubblicato un articolo sul referendum del prossimo 20
ottobre relativo alla richiesta di adesione di San Marino all’Ue con
particolare riferimento ai fondi Iap.
Oggi
voglio attirare la vostra attenzione sulla seconda parte del referendum, non
meno importante, cosiddetta “Salva stipendi”.
Partirei
in primis dalla domanda perché importantissima:
“Volete
voi che, fino al rinnovo dei contratti collettivi di lavoro scaduti, le
retribuzioni dei lavoratori dipendenti siano rivalutate al primo gennaio di
ogni anno di un importo pari alla percentuale di inflazione rilevata nell’anno
precedente dall’ufficio informatica, Tecnologia, dati e Statistiche dello
Stato?”
Siamo
tutti d’accordo, almeno noi dipendenti, che la priorità va data alla
salvaguardia del nostro potere d’acquisto.
Utilizzerò
sempre la seguente ipotesi, tranne diversa indicazione.
L’adeguamento
automatico prevede, per un certo periodo di tempo che può essere teoricamente
anche di qualche decennio, diciamo 2, un aumento dell’1% l’anno (visto che il
contratto non viene mai rinnovato).
Sembra
un’ipotesi improbabile, ma non lo è affatto. Vi ricordate l’11 settembre 2001 o
il crack Lehman? Non è perché una cosa non è mai avvenuta che non accadrà mai.
Io non sono mai morto in vita mia, ma è probabile che prima o poi…
Prima
perplessità: la forma, ossia l’adeguamento automatico delle retribuzioni ad
uno strumento fino al rinnovo dei contratti scaduti.
Sembra
una cosa ottima, ma rischia di penalizzarci fortemente. Non vedo perché, a
prescindere, debba esserci per forza favorevole. Io ho fatto sia il datore di
lavoro che il lavoratore e, la prima cosa che mi viene in mente, da ex
imprenditore, nel caso come sopra è questa:
(dunque
un datore di lavoro): a me va benissimo l’aumento dell’1% ogni anno, l’avete
scelto voi, ma vi rinnoverò il contratto tra 20 anni visto che non c’è nessun
limite al periodo di transizione tra un rinnovo e l’altro.
Siamo
disposti a correre un simile rischio? Perdiamo obbligatoriamente una fetta di potere
contrattuale.
Durante
le trattative contrattuali con un contratto scaduto da x anni, ci verrà detto
per forza: Che cosa volete di più? Avete già avuto un adeguamento, mentre io,
datore di lavoro, no! Poi c’è crisi, perdo clienti, c’è la concorrenza, non ho
licenziato nessuno… e cosi via. La lista è infinita. Otterremo per forza di meno.
La
scadenza di un contratto non sarà più una cosa rilevante visto che sarà
automaticamente gestita da una proceduta ben definita. Come lo “Shutdown”
americano attualmente in corso dalla fine del mese di settembre che,
teoricamente, dovrebbe essere devastante. Vedi il mio articolo del 7 ottobre
intitolato “Patata bollente dall’America”. Andremo a parlare sempre meno della
scadenza di un contratto. Sì, certo, il contratto è scaduto, ma chi se ne
frega, penso alle mie prossime ferie, al calcio, al gratta e vinci o a quella
serie tv. In fondo, non sono mica stupido, guadagno lo stesso il mio 1%
all’anno in più. Faremo, con la calma… Finiremo obbligatoriamente cosi. Invece
la scadenza di un contratto è una cosa seria.
Se otteniamo
un adeguamento ponte, che sia dell’1% come sopra o anche del 10%, secondo voi,
al tavolo dei negoziati, questo ci verrà sottratto con gli interessi (come si
dice) da quello che riusciremo ad ottenere, se otterremo qualche cosa in più, o
ci verrà regalato? Tutti i nodi vengono al pettine. Io, personalmente, ho
sempre avuto pochi regali dagli altri e, in Francia, in modo particolare anche se
abbiamo una certa dimestichezza con la lotta sindacale, e gli scioperi.
Seconda
perplessità: lo strumento, ossia l’adeguamento all’inflazione.
In
questo caso vi riporterei alla mia analisi del 10 marco 2011 intitolato “CPI:
Consumer Price Index o, in italiano, Ci Penso Io?” In effetti, l’inflazione è
detta Cpi in inglese e quel “Ci Penso Io” mi era uscito direttamente dal cuore.
Siamo tutti onesti, ovviamente, ma cambiando continuamente i pesi ed i
prodotti, nonché inserendo nel calcolo dell’inflazione cose poche attinenti
come le barche di lusso, tutti capiscono che il dato che esce può, ho scritto
può e non è, essere pilotato. Questo in primis è quello che penso del tasso
d’inflazione e della sua reale correlazione con la realtà.
Il
tasso d’inflazione va di moda. Anche molti prestiti obbligazionari, vedi di
recente un Btp, è indicizzato all’inflazione e sembra tutelarci da una perdita
di poter d’acquisto. Ma è cosi?
Tuttavia,
leggendo attentamente e soltanto la frase della domanda del referendum come
sopra mi chiedo; che cosa succederebbe in caso di deflazione? In effetti, un
tasso di inflazione negativo è possibile ed è già accaduto molte volte di
recente ed in vari paesi industrializzati. Di seguito qualche esempio: nel 2012
la Svizzera aveva un’inflazione negativa di -0.40%, la Svezia di -0.10%, il
Giappone di -0.10%. Nel 2009, la Finlandia aveva un tasso d’inflazione di
-0.50%. Il Giappone è il tipico caso di un paese colpito dalla deflazione.
Quindi, teoricamente, anche l’Italia o San Marino potrebbero avere un tasso
d’inflazione negativo. Perché no? O per lo meno di 0.5% ad esempio. Pertanto,
l’ipotesi iniziale di un adeguamento dell’1% è quasi ragionevole. Torniamo
quindi all’ipotesi iniziale dove ci siamo fregati da soli e magari per qualche
decennio. Potremmo anche perdere automaticamente in busta paga il tasso
d’inflazione in quanto negativo.
Qualche
ipotesi:
Si
potrebbe eventualmente chiedere di adeguare le retribuzioni in modo automatico
fino al rinnovo contrattuale con il tasso dare (quello dato sul conto corrente)
più uno spread dello 0.50% o dell’1% (o il libor + uno spread) per esempio in
modo di poter arrivare al tavolo negoziabile con onesta e senza stressare la
controparte. In fondo, avremo ottenuto durante l’attesa solo il minimo indispensabile
che dovrebbe essere “quasi sempre” positivo anche grazie allo spread. Saranno
poi agli altri a dover dimostrarsi onesti. Diversamente, potremo utilizzare
altri strumenti come i rendimenti dei titoli di Stato (Btp) a 5 o 10 anni che
saranno maggiormente dipendenti dalle reali condizioni di mercato.
Potremmo
non chiedere l’adeguamento automatico delle retribuzioni durante il periodo di
transizione, tra un rinnovo e l’altro, facendo pressioni sulla controparte in
quanto dalla parte del torto. Occorre tuttavia essere onesti fino in fondo: siamo
sicuri che il mancato rinnovo sia sempre colpa degli altri? Poi si fa sempre in
tempo a scioperare, ma dobbiamo essere uniti, e non lo siamo, e lo sanno. Diversamente,
il rinnovo verrebbe effettuato prima della scadenza contrattuale. Quindi il
mancato rinnovo è soltanto colpa nostra. Noi abbiamo bisogno di loro, ma loro
hanno bisogno di noi.
Conclusione
Quindi,
anche in questo caso, non vi dico se votare si o no, questo non mi interessa,
ma prestate attenzione al caso della deflazione che non sembra previsto, almeno
leggendo unicamente il quesito del referendum. C’è ancora tempo. Parlatene con
chi di dovere se lo ritenete opportuno.
Da
“bravo analista” ricordiamoci che anche l’Fmi, non più tardi di martedì, ha
pubblicato le sue previsioni sull’economia mondiale evidenziando in varie
occasioni un rischio di deflazione elevato in Europa. Non date retta a me,
ascoltate almeno loro. Non si sa mai.
Votate
quello che volete, ma votate e, questa volta aggiungo, informatevi.
Una
breve parentesi. Nel mio articolo di lunedì 7 intitolato “Patata bollente
dall’America” avevo scritto che “Non dimentichiamo che in Asia lo yuan cinese
cerca di diventare una moneta internazionale per poi diventare il punto di
riferimento in Oriente.”. Casualmente, come sempre, in questo caso 3 giorni
dopo, quindi oggi giovedì, dall’agenzia Reuters leggiamo che: “La Banca
centrale europea e la Banca popolare cinese hanno stretto un accordo per una
linea di swap sulle valute destinata a facilitare le transazioni in yuan nella
zona euro.” Di conseguenza, lo yuan cerca di diventare una moneta
internazionale. Essere obiettivo ed intellettualmente onesto rende i suoi
frutti.
Cordialmente
Giovanni
Maiani