venerdì 11 ottobre 2013

Salva stipendi

Lo scorso 30 settembre avevo pubblicato un articolo sul referendum del prossimo 20 ottobre relativo alla richiesta di adesione di San Marino all’Ue con particolare riferimento ai fondi Iap.

Oggi voglio attirare la vostra attenzione sulla seconda parte del referendum, non meno importante, cosiddetta “Salva stipendi”.

Partirei in primis dalla domanda perché importantissima:

“Volete voi che, fino al rinnovo dei contratti collettivi di lavoro scaduti, le retribuzioni dei lavoratori dipendenti siano rivalutate al primo gennaio di ogni anno di un importo pari alla percentuale di inflazione rilevata nell’anno precedente dall’ufficio informatica, Tecnologia, dati e Statistiche dello Stato?”

Siamo tutti d’accordo, almeno noi dipendenti, che la priorità va data alla salvaguardia del nostro potere d’acquisto.

Utilizzerò sempre la seguente ipotesi, tranne diversa indicazione.
L’adeguamento automatico prevede, per un certo periodo di tempo che può essere teoricamente anche di qualche decennio, diciamo 2, un aumento dell’1% l’anno (visto che il contratto non viene mai rinnovato).

Sembra un’ipotesi improbabile, ma non lo è affatto. Vi ricordate l’11 settembre 2001 o il crack Lehman? Non è perché una cosa non è mai avvenuta che non accadrà mai. Io non sono mai morto in vita mia, ma è probabile che prima o poi…

Prima perplessità: la forma, ossia l’adeguamento automatico delle retribuzioni ad uno strumento fino al rinnovo dei contratti scaduti.

Sembra una cosa ottima, ma rischia di penalizzarci fortemente. Non vedo perché, a prescindere, debba esserci per forza favorevole. Io ho fatto sia il datore di lavoro che il lavoratore e, la prima cosa che mi viene in mente, da ex imprenditore, nel caso come sopra è questa:

(dunque un datore di lavoro): a me va benissimo l’aumento dell’1% ogni anno, l’avete scelto voi, ma vi rinnoverò il contratto tra 20 anni visto che non c’è nessun limite al periodo di transizione tra un rinnovo e l’altro.

Siamo disposti a correre un simile rischio? Perdiamo obbligatoriamente una fetta di potere contrattuale.

Durante le trattative contrattuali con un contratto scaduto da x anni, ci verrà detto per forza: Che cosa volete di più? Avete già avuto un adeguamento, mentre io, datore di lavoro, no! Poi c’è crisi, perdo clienti, c’è la concorrenza, non ho licenziato nessuno… e cosi via. La lista è infinita. Otterremo per forza di meno.

La scadenza di un contratto non sarà più una cosa rilevante visto che sarà automaticamente gestita da una proceduta ben definita. Come lo “Shutdown” americano attualmente in corso dalla fine del mese di settembre che, teoricamente, dovrebbe essere devastante. Vedi il mio articolo del 7 ottobre intitolato “Patata bollente dall’America”. Andremo a parlare sempre meno della scadenza di un contratto. Sì, certo, il contratto è scaduto, ma chi se ne frega, penso alle mie prossime ferie, al calcio, al gratta e vinci o a quella serie tv. In fondo, non sono mica stupido, guadagno lo stesso il mio 1% all’anno in più. Faremo, con la calma… Finiremo obbligatoriamente cosi. Invece la scadenza di un contratto è una cosa seria.

Se otteniamo un adeguamento ponte, che sia dell’1% come sopra o anche del 10%, secondo voi, al tavolo dei negoziati, questo ci verrà sottratto con gli interessi (come si dice) da quello che riusciremo ad ottenere, se otterremo qualche cosa in più, o ci verrà regalato? Tutti i nodi vengono al pettine. Io, personalmente, ho sempre avuto pochi regali dagli altri e, in Francia, in modo particolare anche se abbiamo una certa dimestichezza con la lotta sindacale, e gli scioperi.

Seconda perplessità: lo strumento, ossia l’adeguamento all’inflazione.
In questo caso vi riporterei alla mia analisi del 10 marco 2011 intitolato “CPI: Consumer Price Index o, in italiano, Ci Penso Io?” In effetti, l’inflazione è detta Cpi in inglese e quel “Ci Penso Io” mi era uscito direttamente dal cuore. Siamo tutti onesti, ovviamente, ma cambiando continuamente i pesi ed i prodotti, nonché inserendo nel calcolo dell’inflazione cose poche attinenti come le barche di lusso, tutti capiscono che il dato che esce può, ho scritto può e non è, essere pilotato. Questo in primis è quello che penso del tasso d’inflazione e della sua reale correlazione con la realtà.

Il tasso d’inflazione va di moda. Anche molti prestiti obbligazionari, vedi di recente un Btp, è indicizzato all’inflazione e sembra tutelarci da una perdita di poter d’acquisto. Ma è cosi?

Tuttavia, leggendo attentamente e soltanto la frase della domanda del referendum come sopra mi chiedo; che cosa succederebbe in caso di deflazione? In effetti, un tasso di inflazione negativo è possibile ed è già accaduto molte volte di recente ed in vari paesi industrializzati. Di seguito qualche esempio: nel 2012 la Svizzera aveva un’inflazione negativa di -0.40%, la Svezia di -0.10%, il Giappone di -0.10%. Nel 2009, la Finlandia aveva un tasso d’inflazione di -0.50%. Il Giappone è il tipico caso di un paese colpito dalla deflazione. Quindi, teoricamente, anche l’Italia o San Marino potrebbero avere un tasso d’inflazione negativo. Perché no? O per lo meno di 0.5% ad esempio. Pertanto, l’ipotesi iniziale di un adeguamento dell’1% è quasi ragionevole. Torniamo quindi all’ipotesi iniziale dove ci siamo fregati da soli e magari per qualche decennio. Potremmo anche perdere automaticamente in busta paga il tasso d’inflazione in quanto negativo.

Qualche ipotesi:
Si potrebbe eventualmente chiedere di adeguare le retribuzioni in modo automatico fino al rinnovo contrattuale con il tasso dare (quello dato sul conto corrente) più uno spread dello 0.50% o dell’1% (o il libor + uno spread) per esempio in modo di poter arrivare al tavolo negoziabile con onesta e senza stressare la controparte. In fondo, avremo ottenuto durante l’attesa solo il minimo indispensabile che dovrebbe essere “quasi sempre” positivo anche grazie allo spread. Saranno poi agli altri a dover dimostrarsi onesti. Diversamente, potremo utilizzare altri strumenti come i rendimenti dei titoli di Stato (Btp) a 5 o 10 anni che saranno maggiormente dipendenti dalle reali condizioni di mercato.

Potremmo non chiedere l’adeguamento automatico delle retribuzioni durante il periodo di transizione, tra un rinnovo e l’altro, facendo pressioni sulla controparte in quanto dalla parte del torto. Occorre tuttavia essere onesti fino in fondo: siamo sicuri che il mancato rinnovo sia sempre colpa degli altri? Poi si fa sempre in tempo a scioperare, ma dobbiamo essere uniti, e non lo siamo, e lo sanno. Diversamente, il rinnovo verrebbe effettuato prima della scadenza contrattuale. Quindi il mancato rinnovo è soltanto colpa nostra. Noi abbiamo bisogno di loro, ma loro hanno bisogno di noi.

Conclusione
Quindi, anche in questo caso, non vi dico se votare si o no, questo non mi interessa, ma prestate attenzione al caso della deflazione che non sembra previsto, almeno leggendo unicamente il quesito del referendum. C’è ancora tempo. Parlatene con chi di dovere se lo ritenete opportuno.

Da “bravo analista” ricordiamoci che anche l’Fmi, non più tardi di martedì, ha pubblicato le sue previsioni sull’economia mondiale evidenziando in varie occasioni un rischio di deflazione elevato in Europa. Non date retta a me, ascoltate almeno loro. Non si sa mai.

Votate quello che volete, ma votate e, questa volta aggiungo, informatevi.

Una breve parentesi. Nel mio articolo di lunedì 7 intitolato “Patata bollente dall’America” avevo scritto che “Non dimentichiamo che in Asia lo yuan cinese cerca di diventare una moneta internazionale per poi diventare il punto di riferimento in Oriente.”. Casualmente, come sempre, in questo caso 3 giorni dopo, quindi oggi giovedì, dall’agenzia Reuters leggiamo che: “La Banca centrale europea e la Banca popolare cinese hanno stretto un accordo per una linea di swap sulle valute destinata a facilitare le transazioni in yuan nella zona euro.” Di conseguenza, lo yuan cerca di diventare una moneta internazionale. Essere obiettivo ed intellettualmente onesto rende i suoi frutti.

Cordialmente
Giovanni Maiani